Martedì, 02 Dicembre 2008 14:29

Materiali di grande attualità

Scritto da  Gerardo

"Tradotto il testo definitivo di vita e destino di Vasilij Grossman. Uno scrittore contro i totalitarismi. Il lungo racconto epico della guerra fu scritto negli anni Cinquanta, e sequestrato nel '61, durante la destalinizzazione di Krusciov, per il parallelo tra Hitler e Stalin che ne emergeva. Si fece conoscere come scrittore del realismo socialista. Ma più tardi il suo lavoro sul genocidio nazista fu censurato e poi bloccato. Quando l'autore sovietico cominciò a vederci chiaro scrisse tutto quello che aveva visto, saputo, capito E l'ha pagata cara".
Nel seguito riportiamo per esteso l’articolo pubblicato dal quotidiano "La Repubblica" del 28/11/2008 dal titolo "Il romanzo della libertà".

L'edizione italiana finalmente condotta sul testo definitivo di Vita e destino di Vasilij Grossman (traduzione di Claudia Zonghetti, Adephi, pp. 827, euro 34) è un evento paragonabile alla conoscenza integrale di altri grandi romanzi dell'epoca sovietica come Il dottor Zivago di Boris Pasternak o Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

Grossman (1905-1964) si fece conoscere trentenne come scrittore che interpretava al meglio i dettami del "realismo socialista" col racconto Gleckauf, dedicato alla vita dei minatori del Donbass, che attrasse l'attenzione del gran capo delle lettere sovietiche, Maksim Gor'kij; ribadì poi la sua fama con il romanzo Stepan Koleugin (1941), sulla formazione d'un operaio bolscevico. Come tale venne fatto ben presto conoscere anche in Italia: Ettore Lo Gatto ne parlò brevemente ma con ammirazione nella sua Storia della letteratura russa (1942), e sulla prima rivista dell'Associazione Italia-Urss ("La cultura sovietica", n. 2, ottobre-dicembre 1945); Angelo M. Ripellino presentò per primo in Italia la traduzione di un suo racconto, "Anjuta", accompagnato da queste parole: "Le pene della guerra, la sua austera poesia, la passione, sono gli elementi essenziali degli scritti di Grossman. Più di chiunque altro egli ha rivelato le sorgenti dell'epopea di Stalingrado. Allo stesso modo che in tempo di pace, gli eroi di Grossman erano animati dal sogno della creazione; in guerra, i suoi ufficiali e soldati compiono prodigi di coraggio, ispirati dal sogno della vittoria".

Fu appunto la guerra, durante la quale fu corrispondente al fronte del giornale dell'esercito "Krasnaja Zvezdà" (Stella rossa), che segnò il suo destino. Accanto a diversi articoli, saggi e bozzetti (tra i quali meritano d'essere ricordati almeno "Il popolo è immortale" e "L'inferno di Treblinka"), concepì difatti un vasto affresco bellico che doveva realizzarsi come "epopea di Stalingrado", e che gli avrebbe portato insieme profondi dolori e la grande fama che oggigiorno, a quarant'anni e passa dalla scomparsa, lo colloca tra i grandi autori del Novecento russo.

Il primo romanzo fu pubblicato nel 1952 ed era intitolato Per una giusta causa (un brano, "La notte del 21 giugno", fu tradotto da Pietro Zveteremich in Narratori russi moderni, Bompiani 1963); e ancora nell'anno della scomparsa dell'autore, la Breve enciclopedia letteraria sovietica gli dedicava una voce, a firma di Georgij Munblit, che lo lodava per il romanzo e informava il lettore che "negli ultimi anni aveva pubblicato una serie di racconti su varie riviste". Ma naturalmente non diceva una parola del fatto che da qualche anno a quella parte Vasilij Grossman, senza nessuna intenzione, s'era trasformato da valente scrittore del realismo socialista in pericoloso sovversivo, e che i suoi due ultimi romanzi (Tutto scorre e Vita e destino) non erano destinati ad essere letti dal pubblico sovietico.

Già quindici anni prima però Grossman era incappato nella censura. Quella volta (1947) per via del lavoro documentario che, su istanza di Albert Einstein, aveva intrapreso assieme ad un altro scrittore d'origine ebraica (e ben più famoso di lui: Il'ja Erenburg), per testimoniare del genocidio nazista nei territori sovietici durante la guerra. Finché le operazioni militari erano in corso, tutti i mezzi erano buoni per la propaganda interna e per la solidità dell'alleanza internazionale; ma, a guerra finita, quel martirologio ebraico sembrò inopportuno a Stalin (che proprio in quegli anni intraprese la campagna contro il cosmopolitismo e il nazionalismo"borghese"), e l'imponente raccolta di tragici materiali venne prima sottoposta a revisione censoria, e poi fermata quando era già in bozze. Èstata pubblicata quasi cinquant'anni dopo, nel 1994 (in italiano è uscita da Mondadori solo nel 1999, col titolo Il libro nero).

Vita e destino, scritto nel corso degli anni Cinquanta, e che come s'è detto doveva costituire la seconda parte dell'epopea bellica dopo Per una giusta causa, venne sequestrato nel 1961, durante la "destalinizzazione" di Krusciov, non appena l'autore l'aveva consegnato alla rivista "Znamja" (La bandiera) per la pubblicazione: il caporedattore Vadim Kozevnikov l'aveva subito segnalato al Kgb, spaventato al solo pensiero di poter apparire connivente.

Per intendere, oggi, la durezza della risoluzione presa, servirà ricordare non solo che l'anno dopo (novembre 1962) il "Novyj mir" (Mondo nuovo) pubblicò, col consenso preventivo di Krusciov, Una giornata di Ivan Denisovic di Aleksandr Solgenitsyn, ma che anche il Dottor Zivago di Boris
Pasternak era stato sì vietato, ma non sequestrato (il sequestro toccherà, dodici anni dopo, all'Arcipelago Gulag di Solgenitsyn).

Che cosa c'era di tanto terribile, nell'opera di Grossman? Il fatto è che il tema bellico aveva, e sempre più avrà negli anni successivi, una doppia valenza nella cultura sovietica: rappresentava da un lato una tragedia corale di popolo, rispetto alla quale si potevano dire anche cose difficili da dire in tempo di pace (da cui il successo non solo della narrativa di guerra di Konstantin Simonov, ma anche quella di Bulat Okudzava, o la raccolta delle poesie dei caduti in guerra, I versi rimangono in riga, 1958); ma d'altro canto era l'occasione per cementare il ruolo-guida del Partito, come ben sapeva Aleksandr Fadeev, che aveva dovuto riscrivere il suo romanzo La giovane guardia per eliminare l'impressione che l'iniziativa spontanea delle formazioni partigiane fosse più rilevante della strategia politica.

In un saggio sulla "Grande guerra patriottica" (come i sovietici chiamavano il secondo conflitto mondiale) nella cultura russo-sovietica, Maria Ferretti ha scritto che "dal ricordo della guerra scaturivano due memorie opposte, antitetiche, che veicolavano due sistemi di valori inconciliabili, fondati l'uno sulla libertà che alimentava le speranze di una democratizzazione [del sistema sovietico], e la memoria della vittoria, che celebrava invece lo Stato autoritario" ("La memoria spezzata", Italia contemporanea, XII, 2006).

Figurarsi poi se dalla nuda e cruda rappresentazione dei fatti, sostenuta da una lucida capacità di coglierne le ragioni profonde, dalle macerie fumanti di Stalingrado emergeva un parallelo tra il nazismo di Hitler e il bolscevismo di Stalin: "Di quale speranza si può parlare - scriveva Efim Etkind, presentando la prima edizione di questo romanzo, nel 1984 -, se siamo posti di fronte a due campi che come specchi si rimandano un'identica immagine?". Allora, "la confisca di un romanzo - insisteva Etkind - è il più alto riconoscimento che il potere dello Stato possa accordare ad un'opera letteraria; l'immaginazione dell'autore viene collocata al livello stesso della realtà; le riflessioni dello scrittore diventano divulgazione di segreti di Stato".

Nell'archivio dell'amico Semen Lipkin (1911-2003), che scrisse anche lui della guerra (La nave di Stalingrado, 1943) ma soprattutto ha dedicato un libro a Vita e destino di Vasilij Grossman (1984), è conservata la lettera che Grossman scrisse a Krusciov, a un anno dal sequestro del libro. In quella lettera, tragica e per certi versi disperata, Grossman diceva tra l'altro:
"Perchè è stato posto il divieto sul mio libro che forse, in qualche misura, risponde alle esigenze interiori dei sovietici, un libro dove non c'è menzogna nè calunnia, mentre c'è verità, dolore, amore per gli altri, perché mi è stato confiscato con metodi di violenza amministrativa, è stato segregato, da me e dagli altri, come un assassino colpevole? [...]
Non basta: mi è stato raccomandato di rispondere alle domande dei lettori di non avere ancora terminato il lavoro sul manoscritto, che ci vorrà ancora molto tempo. In altre parole, mi è stato proposto di dire il falso".

Per comprendere il rilievo del lascito morale che l'opera di Grossman ha trasmesso anche alla Russia post-sovietica, ricorderò il seguente aneddoto che Benedikt Sarnov narra ne Il caso Erenburg (2004): il poeta Boris Sluckij gli chiese una volta chi avesse vissuto più da giusto, se Erenburg o Paustovskij, e alla sua ovvia risposta ("Naturalmente Paustovskij"), Sluckij gli replicò che no, non aveva ragione, e se Erenburg aveva praticato tanti compromessi "quante persone però aveva aiutato". Ricordando l'episodio, Sarnov commenta: "Ma che cosa avrei detto se mi avesse posto il dilemma tra Erenburg e Grossman? Avrei risposto senza tentennamenti: Naturalmente Grossman! Sì, Grossman era più libero. Non chiamò mai la cecità un espediente. Quando cominciò a vederci chiaro scrisse di tutto quello che aveva visto, saputo, capito. E l'ha pagata cara".
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